Don Folli

COMMEMORAZIONE DI DON PIERO FOLLI

A cura del DOTT.
PIERMARCELLO CASTELLI

Domenica, 12 marzo 2023

Oggi, a distanza di 75 anni dalla morte di Don Piero Folli, mi chiedo: “quale reale ricordo abbiamo di lui?”.
Noi (che siamo qui riuniti) sappiamo tutti che Don Folli non è stato un sacerdote alla don Abbondio, ma che ha sempre affrontato, con cipiglio e determinazione da uomo di grande fede in Dio, tutte le difficoltà che gli si presentavano dinnanzi.
Ritengo quindi importante dare oggi traccia del suo operato, ricordando alcuni fatti ed episodi che lo hanno visto impegnato, per far trionfare la giustizia e il bene comune.
Piero Folli nasce a Premeno il 18 settembre 1881.
A 18 anni compiuti, ancora seminarista, si schiera con gli operai nelle battaglie del 1898.
Consacrato sacerdote il 28 maggio 1904, diventa coadiutore a Vendrogno, poi a Cislago.
Il suo impegno e la sua attenzione per gli altri lo inducono a fondare scuole serali, a tenere conferenze agrarie e a partecipare in prima persona agli scioperi delle filande.
Diventa anche corrispondente per vari giornali, come Il lavoro e la Tribuna sociale.
Nel 1909 viene trasferito a Tradate, dove svolge la sua missione all’interno dell’Azione Cattolica.
Vi fonda una “lega del lavoro”, per fornire agli operai cattolici adeguati strumenti contro la diffusione della dottrina socialista, e crea la “Giovane Tradate” per riunire i ragazzi del paese.
Nel 1915, in piena guerra mondiale, è parroco a Carnisio (frazione di Cocquio Trevisago), dove, per dare un aiuto concreto a molte famiglie povere, senza reddito, fa nascere uno stabilimento per la riparazione delle divise militari.
A fine guerra riconverte la fabbrica per la produzione di biancheria femminile.
Essendo solito fischiettare, mentre passeggiava nel capannone centrale della fabbrica, don Folli viene soprannominato dagli operai “Zifulin” Con l’avvento del fascismo don Piero viene schedato, subisce l’umiliazione dell’olio di ricino e delle bastonate.
È anche accusato da molti di essere troppo moderno e per questo nel ‘23 viene trasferito qui a Voldomino (che all’epoca era comune autonomo) dove, appena giunto, si prende cura in particolar modo dei giovani.
Mette in piedi con grande successo una squadra di ginnastica e fonda la filodrammatica, la biblioteca, la scuola del lavoro e la schola cantorum.
Don Folli entra in contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale e presta aiuto ai partigiani del San Martino.
La sua generosità e le sue attenzioni non si rivolgono solo ai partigiani, ma si estendono anche ai prigionieri alleati, ai perseguitati politici e agli ebrei.
L’oratorio di Santa Liberata è sempre aperto ai fuggiaschi che don Folli, in persona, ospita, rifocilla e aiuta ad espatriare in Svizzera.
L’espatrio di ebrei non è tra gli obiettivi militari del CLN, ma don Piero sostiene fieramente che “è un obbligo cristiano salvare quelle famiglie”.
La sua rete - che ha contatti con le bande Fraschini e Lazzarini e con le reti OSCAR e DELASEM - è nota anche agli alleati che sanno del suo collegamento con alcuni sacerdoti della Costa Azzurra, della Toscana, della Liguria, ma Don Folli è il principale “terminale” dell’arcivescovo Boetto di Genova.
Il 3 dicembre 1943 qui a Voldomino accadde un fatto tremendo: una spedizione punitiva arrivò alla sua canonica.
Questo episodio ci è stato dettagliatamente descritto da Maria Rosa Romegialli, sopravvissuta ai lager, nel suo racconto che riprendo testualmente.
Lei scrive “Don Piero è legato da fascisti e tedeschi all’inferriata dell’asilo di Santa Liberata, bastonato duramente, insultato, offeso, fatto segno di sputi... all’interno della canonica, erano stati nascosti gli ebrei appena arrivati da Genova con don Repetto, segretario dell’arcivescovo di Genova.
Presenti anche il rag. Pio Alessandrini e l’ing. Mario Bongrani.
Ci sono degli spari, una pallottola sfiora la vecchia domestica che sviene.
Le squadre fasciste entrano subito in azione, devastando la casa.
Approfittando della confusione, Alessandrini e Bongrani si allontanano e, non essendo conosciuti, possono passare fra la soldataglia tedesca che, all’esterno, tiene fermo il sacerdote per la gola... vogliono da lui i nomi dei collaboratori, un ciuffo di capelli gli viene strappato ma don Folli rimane in silenzio.
Per sua fortuna i fascisti non frugano in un cassetto, dove, sotto i libri di preghiera, sono custodite le schede che testimoniano i passaggi per l’espatrio.

Frattanto all’esterno sono raggruppati gli ebrei, che, mani sulla nuca, sono costretti a marciare sotto la pioggia.
I bambini, strattonati, piangono, uno sviene... in paese vengono arrestati alcuni collaboratori di don Piero, quasi tutti “spalloni” e perciò grandi conoscitori dei luoghi di confine.
Gente semplice, questa, abituata a ogni rischio, che don Folli non considera dei disonesti ma che, in quell’autunno del 1943, considera preziosissimi collaboratori per salvare vite umane.
Per ogni persona che accompagnano, don Folli consegna loro un foglietto: varcato il confine svizzero, deve essere sottoscritto e riportato al mittente, come sicuro riscontro dell’avvenuto espatrio.
Ecco: questa testimonianza fa capire come non ci fosse alcun riguardo nei confronti di un sacerdote che svolgeva solo la sua missione: quella di amare e aiutare esseri umani in difficoltà .
Dopo l’arresto Don Folli è rinchiuso a San Vittore per tre mesi.
Subisce torture e violenze senza mai rivelare i nomi dei suoi collaboratori.
Viene liberato grazie all’intervento determinante del Cardinale Schuster e quindi confinato a Cesano Boscone e a Vittuone.
Terminata la guerra, torna a Voldomino prendendo a Varese il trenino bianco che collegava Varese con Luino.
Sceso dal trenino, si reca subito al cimitero di Voldomino per raccogliersi in preghiera davanti alla tomba della sua mamma e da lì, volgendosi verso la Gera, sente forte il desiderio di realizzare la costruzione di una cappella a perenne ricordo di quei 12 giovani partigiani che erano stati ammazzati .
Ricordandosi poi delle parole proferite da un carcerato di nome Zagni, pittore di professione, con lui recluso nel carcere di S.
Vittore, quando gli disse: “Lei chieda a quello lassù la nostra salvezza (perché senz’altro l’ascolta di più) e le prometto che se io e lei riusciremo a salvare la pelle verrò nella sua parrocchia e le lascerò un mio dipinto”, Don Folli si rivolse a lui per chiedergli di mantenere la promessa.
Fu così possibile arredare la cappelletta della Gera con il quadro in cui è raffigurato il volto risplendente di una madre prostrata dal dolore per la perdita del figlio, la Madonna del Partigiano.
Attorno al quadro vennero collocati i ritratti di quei giovani partigiani che erano stati uccisi subito dopo la cattura.
Don Folli, poi, per riassumere il significato dell’eroico sacrificio di quei giovani recuperò la preghiera di Teresio Olivelli e la fece incidere sulla lapide che ancora oggi è addossata alla parete della ricostruita stalletta, facendola diventare la preghiera del partigiano.
Sul frontale della nuova cappella fece incidere l’epigrafe latina: “Unquam de vita migrabunt heroes” (gli eroi non se ne andranno mai dalla vita).
Il 4 febbraio del ‘47, Don Folli, mentre si recava a Creva per confessare nella ricorrenza della festa della Madonna di Lourdes, venne colto da paralisi.
Morì poi l’8 marzo 1948 dopo lunga sofferenza.
Qualche giorno prima di morire aveva trovato la forza di scherzare con alcuni parrocchiani che gli avevano fatto visita dicendo “che volete di più! avete anche la benedizione di un vecchio avanzo di galera!” Don Piero Folli è stato un uomo di Dio, con un cuore grande e generoso.
In un suo libretto di appunti giovanili ha lasciato queste parole: “L’amore è la vita del cuore” Come detto, don Folli (di fatto) è stato il braccio operativo del Cardinale Gesuita Pietro Boetto (1871-1946), arcivescovo di Genova che è stato dichiarato “Giusto tra le Nazioni”, con la motivazione che la decisione presa, onora la sua nobile e coraggiosa persona per l’aiuto prestato non solo agli ebrei perseguitati dai nazifascisti, ma anche a tutti gli oppressi e a quanti avevano bisogno di aiuto.
La città di Genova ha attribuito al cardinale Boetto il titolo aggiuntivo di “Defensor Civitatis”.
Il nostro Don Piero Folli lunedì, 6 marzo 2017, a Palazzo Marino, in Milano, nell’ambito della giornata europea dei Giusti, è stato inserito a pieno titolo nel Giardino Virtuale «Giusti del Monte Stella», alla presenza del Sindaco Giuseppe Sala, del Presidente del Consiglio Comunale, Lamberto Bertolé, di Gabriele Nissim, presidente dell’Associazione Gariwo, di Giorgio Mortara, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e di Liliana Segre ( nominata senatrice a vita l’anno seguente).

La pergamena è stata consegnata al prevosto di Luino don Sergio Zambenetti, presenti il sottoscritto in rappresentanza del sindaco di Luino e l’allora consigliere comunale Enrica Nogara.

Don Piero Folli è stato definito: “parroco della liberazione e parroco degli operai” ed anche “Gigante della chiesa Povera”, titoli che gli sono stati riconosciuti dal mondo della politica e da quello del lavoro.
La Città di Luino intitolando a Don Piero Folli la scuola elementare e una via della città ha fatto proprio tutto per onorarne la memoria? o si può mutuare da Genova conferendogli anche il titolo di “defensor civitatis” ? Io penso proprio di si !!!
A Don Piero Folli una preghiera e la nostra perenne riconoscenza.